logo-nuovoLa Magna Carta è costituita da 3.625 parole.

La Costituzione della Repubblica italiana consta di 10.803 parole.

La proposta di riforma costituzionale ben 14.345 parole.

Dalla Magna carta in poi – il documento costituzionale per antonomasia – una Costituzione è tale quando ci assicura la libertà individuale contro il potere politico al governo.

La Costituzione italiana è lunga il triplo della Magna Carta e ha introdotto tutta una serie di disposizioni funzionali alla continua espansione dello Stato e al suo intervento in campo economico. Con buona pace della libertà e dell’individuo che in origine doveva proteggere. Positivismo, statalismo e interventismo economico assurti a rango costituzionale con il pretesto di un sistema economico terzo, alternativo sia al comunismo che al capitalismo. Incuranti di quanto aveva dimostrato Ludwig Von Mises sulla illusorietà della ancor oggi mitica terza via. Nel suo capolavoro “L’azione umana”, ci fa capire come l’intervento dello Stato nell’economia abbia conseguenze nefaste, contrarie alle aspettative.

Sembra incredibile, ma il testo sottoposto a referendum è una Carta ancora più lunga della precedente, gonfia di parole e di frasi infinite, sovente oscure e incomprensibili ai più. Certo, mai firmare (votare) quello che non capisci (come educavano i nonni), ma viene il sospetto che sia stata scritta male oltre che per la solita incompetenza, anche per sterilizzare il malcontento cagionato da decenni di interventismo economico. Anche i più tenaci partigiani della terza via, devono oggi riconoscere che la crisi permanente di cui soffriamo è l’esito dell’intervento politico in campo economico e della decrescita conseguente, comunque infelice e per di più traditrice dell’aspirazione delle giovani generazioni di stare meglio dei loro genitori.

Se un intervento è sbagliato (perché l’interventismo è il male e non la cura), invece di assumersi la responsabilità e pagarne le conseguenze, ci dicono che è necessario farne un altro e così via.

Quando l’interventismo economico raggiunge il punto di non ritorno (quando cioè si è divorato la maggior parte delle risorse), ci raccontano la barzelletta delle riforme strutturali efficaci solo con istituzioni più stabili ed efficienti, nonostante lo Stato abbia ormai raggiunto una dimensione e una organizzazione mai viste prima.

A questo punto, il positivismo si traveste da riformismo di maniera ed il gioco è fatto. Ecco la madre di tutte le riforme, una riforma costituzionale che con il pretesto di riformare le istituzioni per far ripartire il paese, pone il potere politico addirittura al di sopra della legge fondamentale.

Senza più tanti ostacoli costituzionali, record di debito e di tasse, ben oltre i massimi attuali già insostenibili. Il fine non dichiarato è di alimentare l’interventismo bulimico del potere politico. Prima del botto, devono travasare tutta la ricchezza privata possibile nelle tasche del ceto politico e dei gruppi loro vicini. Ormai hanno capito che si può fare in modo democratico, con la legittimazione costituzionale.

Senza più tanti limiti nella Costituzione, ci saranno anche molte meno seccature sul dover render conto delle loro malefatte ai governati.

Con tanti saluti alla cara, vecchia, sovranità popolare.