salvare l’ospedale

Dalla cura al prendersi cura.

Non solo parole, ma un cambiamento radicale del servizio socio sanitario, un servizio con al centro la persona e il suo benessere.

Un esempio. Ad oggi, se si dovesse rappresentare graficamente la patologia cronica, si vedrebbe una sequenza di interventi perpendicolari al percorso del paziente, spesso disgiunti tra loro.

Il risultato è che il cittadino non solo subisce la dissociazione dei percorsi di cura e dei trattamenti terapeutici, ma è anche costretto a farsi carico del loro collegamento.

Come riuscire non solo a curare, ma anche, e più seriamente, a prendersi cura del cittadino paziente inconsapevole?

In regione Emilia-Romagna vige un modello delle specialità “Hub&Spoke”, cioè reti cliniche integrate fatte di Hub (dove si concentra la casistica più complessa) e di Spoke (centri ospedalieri periferici) che operano in connessione tra loro.

Ora l’amministrazione uscente dice di essersi “battuta per adottare un modello che impedisse il taglio delle strutture sanitarie facendo dell’ospedale locale un centro di riferimento per la medicina riabilitativa e internistica” [Bilancio sociale di mandato 2009-2014 del Comune di San Giovanni in Persiceto].

Il fatto è che dell’ospedale di Persiceto non è si certo voluto fare un Hub e anche come Spoke non gode di buona salute dato che lo si scova solo a fatica in qualche rete sanitaria marginale.

Così, ai margini delle reti Hub&Spoke, il nostro ospedale nuovo rischia di essere sacrificato al primo taglio di spesa.

La risposta di chi vuol salvare l’ospedale invece è:

#        agire subito per riposizionare strategicamente l’ospedale di Persiceto nelle reti sanitarie regionali cosi da salvaguardare la sua funzione basilare di presidio territoriale;

#        investire su contributi scientifici e specialistici, anche in collaborazione con IRCCS (Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) regionali e non, affinché torni ad essere l’ospedale affidabile di cui necessita il cittadino.

 

 

cure vicino a casa

I servizi socio sanitari devono essere il più possibile vicino al cittadino, il quale ha diritto a ricevere le principali prestazioni sanitarie di diagnosi e cura vicino a casa.

Un secondo esempio è dato dai pazienti che abbiano terminato la fase acuta, ma non siano ancora dimissibili, attraversino cioè una fase subacuta che per essere adeguatamente curata necessita il ricovero in una struttura di carattere sanitario.

Anche qui il passaggio è dal curare al prendersi cura: per questo vanno incrementati i posti letto per acuti e riabilitazione del nostro ospedale, assicurando la stabilizzazione dei pazienti prima della completa dimissione al loro domicilio.

 

In questa direzione, anche migliorando il raccordo pubblico e privato, si potrà:

–          aumentare il numero delle prestazioni private locali in convenzione con il sistema sanitario pubblico per ridurre i pendolari della salute;

–          investire in servizi di diagnostica domiciliare e tele diagnostica, per far sì che il cittadino possa accedere ai servizi sanitari in tempi rapidi.

Più in generale, anche grazie alla sussidiarietà sancita dall’articolo 118 della Costituzione, oggi è non solo possibile ma anche necessario ricorrere a nuove forme di collaborazione tra le diverse istituzioni, spostando la ripartizione gerarchica delle competenze verso gli Enti più vicini al cittadino.