IMG_3071I signori dell’industria alimentare controllano più del 70% del cibo del mondo. Dieci grandi gruppi decidono la dieta di tutto il creato. Sono grandi multinazionali che gestiscono i 500 marchi che entrano nelle nostre case.

Mentre noi guardiamo al nostro piccolo orticello, c’è chi decide cosa piantare, come coltivare e quanto vale il raccolto. Chi fattura 450 miliardi ogni anno e ne capitalizza più di 7.000 è perfettamente in grado di dettare non solo le politiche alimentari ed agricole, ma anche le politiche sociali, tanto dei paesi ricchi che dei paesi più poveri.

45 anni fa, in Fontana, mio nonno, in una famiglia patriarcale di mezzadri, mi sbucciava una pesca favolosa. 30 anni fa, mio padre mi riprendeva (con la sua bontà contadina, mai fuori le righe), sostenendo che erano le pere che mi permettevano di fare l’università. Sui vecchi manuali agrari si celebrano le qualità dell’aglio di Persiceto. Per anni ho regalato cocomeri come l’oro rosso di questa terra.

Il guaio è che abbiamo accumulato un ritardo competitivo rispetto ad altri paesi di almeno trent’anni.

Troppo spesso si sente parlare di questi problemi in astratto. Noi invece ci impegniamo a sperimentare un programma di sviluppo della filiera agricola locale ad alto valore aggiunto. Negli ultimi due anni, la Scuola Civica ha messo a punto un progetto di miglioramento genetico partecipativo rivolto gli agricoltori che necessitano di aumentare la competitività della loro azienda agricola.

Come si sa, il miglioramento genetico è un programma di ricerca agricola che produce le nuove varietà che poi saranno riprodotte, moltiplicate e vendute dalle ditte sementiere. Le grandi colture alimentari tradizionali hanno perso il loro appeal economico e gli agricoltori per garantirsi un reddito hanno sempre più la necessità di orientarsi verso nuove colture e nuovi mercati, come ad esempio i prodotti alimentari per celiaci, per il settore farmaceutico, erboristico e nutraceutico. Con il miglioramento genetico partecipativo, la ricerca esce dai laboratori decentrando la selezione nei campi degli agricoltori. In questo modo l’agricoltore non è più marginale, ma ritorna al centro del ciclo di sviluppo della varietà, con il vantaggio della selezione diretta delle future varietà già nello stesso ambiente dove verranno coltivate.

Prendiamo ad esempio l’amaranto, uno degli pseudo cereali più richiesti sul mercato mondiale date le sue proprietà nutrizionali, ma ancora sconosciuto nella nostra campagna. Con il miglioramento genetico partecipativo si può ottenere una nuova varietà idonea alla coltivazione in un ambiente temperato come il nostro, molto appetibile per il mercato del cibo. Si libera così l’intera filiera: dalla produzione allo stoccaggio, dalla trasformazione alla distribuzione fino alla vendita. Di qui la necessità di reti intelligenti tra le imprese non solo agricole, ma di tutta la filiera agroalimentare.

Non è possibile giocare da soli sul terreno della competizione globale poiché la sconfitta è inevitabile. Il miglioramento partecipativo, il fare rete danno invece vita a una nuova stagione di opportunità, di libertà.

Certo il futuro non è più la politica e nemmeno l’agricoltura così come le abbiamo conosciute finora. Il futuro è nelle mani di chi lavora in rete, e chi coltiva la terra ha sempre fiducia nel futuro!