bicisimo
Con la sua insistenza sul principio dell’autonomia sportiva mutuato dall’Ordinamento Internazionale e la conseguente limitazione all’ingerenza dello Stato, l’Ordinamento Sportivo sembra evocare posizioni tipiche del liberalismo classico.
E in effetti vi sono norme sportive, meramente tecniche, dove è generalmente riconosciuto il limite negativo alla potestà legislativa dello Stato.
Un esempio per tutti: la regola del fuorigioco si fonda sulla cooperazione volontaria dell’individuo, senza che il Governo eserciti la benché minima funzione politico amministrativa.
Ricordate le discussioni al campetto parrocchiale: partita con fuorigioco o senza?
Allora decidevo liberamente se giocare col fuorigioco o meno (in base al mio interesse e senza alcuna coercizione), anche se nessuna delle due opzioni mi assicurava la vittoria.
In ogni caso, avevo scelto di cooperare volontariamente con gli altri giocatori, nonostante una buona metà avesse interessi opposti ai miei: voleva vincere la partita
Qualcosa di analogo alla teoria liberale delle forze spontanee nel mercato concorrenziale dove “i risultati di ciascuno dipendono in gran parte dalla sua abilità e dai suoi sforzi e in parte dal caso”.
In altre parole, faccio del mio meglio per essere comptetitivo ma senza garanzia di risultato, così perdo pure le partite ma non la dignità.
Il bello è che una partita non è mai scontata, va sempre giocata!
Così come nello sport, anche nella vita la libertà di scelta resta sempre il modo migliore per avere la maggiori opportunità di crescita.
La ragione ce la spiega Hayek nel suo “Liberalismo” rilanciando il paragone con l’economia di mercato:“gli individui possono accettare di entrare nel gioco perché esso fa sì che la somma complessiva delle quote individuali sia maggiore di quanto non sarebbe possibile mediante ogni altro metodo”.
Il fatto che lo sport sia diventato la più ampia e ramificata rete italiana è per analogia una conferma eloquente delle sue intuizioni.
È del pari vero, però, che il liberalismo non si occupa di sport e che oggi, nonostante la sua crescente rilevanza sociale ed economica, non esiste ancora un confine netto tra Ordinamento Sportivo e Ordinamento Statale.
Forse anche per questa colpevole mancanza di un chiaro limite negativo al potere pubblico non si è riusciti a sottrarre lo sport dalla cupidigia partitica onde evitargli la tentazione di essere strumentalizzato a fini elettorali.
È molto probabile, invece, che il principio della libertà individuale di scelta valga anche per lo sport, nel senso che al carattere negativo dell’autonomia sportiva (libertà dal potere pubblico) non potrà che corrispondere la libertà positiva di azione (libertà individuale di agire nell’ambito del movimento sportivo).
A tale riguardo, due sono le condizioni che oggi vanno previamente soddisfatte.
La prima condizione è che le professioni sportive siano ammesse a pieno titolo fra le attività lavorative.
Troppo spesso si sente parlare dei valori dello sport in astratto, ma le attività sportive sono un pezzo importante dell’economia reale che come sappiamo non è più esclusiva del mercato, ma proviene dalla concorrenza di reti intelligenti.
Da questo punto di vista si arriva ad auspicare che il liberale sportivo sia direttamente impegnato in associazioni o in società sportive, dato che anche nello sport il fare impresa è la via maestra per creare vera occupazione.
La seconda condizione è che il lavoro sportivo sia liberato tanto dalla cultura statale della dipendenza (formalismo del titolo di studio), quanto dai privilegi di chi nello sport il lavoro già ce l’ha (certificazione fai da te).
Punto di partenza sarà il riconoscimento e la certificazione delle capacità e delle conoscenze maturate dal lavoratore sportivo nei contesti formali (di istruzione e formazione), non formali (lavorativi e professionali) e informali (nei contesti di vita sociale e individuale).
Per questa via, il lavoratore certificato avrà le competenze e quindi la qualifica necessaria per operare nei diversi campi delle attività sportive.
Perché oggi anche nello sport, Il lavoro non è più solo quello che si ha (il posto), ma quello che si fa (l’attività lavorativa).
La certificazione delle competenze, volontaria e privata, è autorizzata e riconosciuta dal pubblico, ha valore sull’intero territorio nazionale e, con la correlazione della qualifica ai livelli europei EQF (European Qualification Framework), è confrontabile con quelle degli altri sistemi in Europa.
Per concludere, parafrasando Adam Smith, si può sostenere che ogni lavoratore sportivo certificato, nella propria condizione locale, può giudicare molto meglio di qualsiasi uomo di Stato o Legislatore, quale sia il tipo di associazione o impresa sportiva che vuole fare.
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