posto lavoroDa questa crisi non se ne esce per tornare dove si era prima, quando era il pubblico a dare posti di lavoro. Se questa crisi ha avuto un merito, è quello di aver smascherato le politiche, collettiviste e socialiste, che ci hanno portato al disastro.

Non ci credete? Volete le prove? Nel 2008 a Persiceto c’erano 1.048 disoccupati. Dopo sei anni erano più che raddoppiati. Tanti danno i numeri, quasi nessuno il dato. Nel 2014, il numero dei disoccupati a Persiceto è di 2.152 persone, al netto dei disoccupati nascosti come i cassaintegrati e i lavoratori in mobilità che per le statistiche italiane sono occupati. Giudicate voi se “San Giovanni sotto il profilo economico sia in ripresa”, come ci hanno raccontato i nostri amministratori sul Carlino solo pochi mesi fa.

I disoccupati più che raddoppiati mostrano che la crisi economica e sociale è anche e soprattutto culturale. A sua volta, ciò chiama in causa sia il ritardo del sistema educativo, sia i programmi educativi basati sulla scuola della dipendenza. La scuola, deve smettere di inculcare nei giovani l’idea che si andrà a lavorare per qualcuno. Si va a lavorare per realizzare qualcosa e questo qualcosa non è più il lavoro salariato che si ha (il posto), ma quello che si fa (l’attività lavorativa vera propria). Se non si estirpa lo stereotipo in base al quale il giovane studia, si forma per poi aspettare, magari lamentandosi, che lo Stato offra – direttamente o indirettamente – un posto di lavoro, non faremo altro che continuare a creare disoccupati.

Oggi nell’economia reale non può più essere il Comune a dare lavoro e la crescita non si può più falsificare con politiche di deficit. La crescita proviene solo dall’impresa, il fare impresa è la strada maestra per creare lavoro e ricchezza.

Ma invece di essere sostenute, le imprese sono ostacolate dal pubblico, soffocate dalla troppa burocrazia e congelate da tempi di attesa biblici. Non è solo una questione di tempo speso a inseguire autorizzazioni, certificazioni, timbri e bolli (costo stimato di 12mila euro all’anno per PMI) e non è nemmeno solo una questione di capitalismo relazionale (a chi ha buone relazioni viene concesso tutto e presto, mentre chi non le ha resta sospeso, in attesa).

I lacci della burocrazia finiscono addirittura per impedire l’attività d’impresa. Ad esempio, la baracchina di Decima è stata chiusa, e con lei un pezzo di storia del paese. Il bando di concorso per aprirne una nuova ha dei vincoli improponibili e dei costi eccessivi. Cifre alte e con il rischio di rimanere con un pugno di mosche in mano dopo 10 anni di lavoro.

Liberare le imprese dalla burocrazia è fondamentale per permettere loro di crescere e creare lavoro. Con noi civici, l’impresa ha un nuovo strumento di partecipazione diretta da utilizzare per farsi approvare dal comune una nuova iniziativa o trovare il modo di risolvere un problema di natura burocratica: la consulenza degli esperti indipendenti (vedi proposta precedente “Libertà è partecipazione” in “Più libertà”). Grazie al piano messo a punto dall’esperto, l’impresa propone la sua soluzione al Comune che la recepisce, previa verifica della sua fattibilità giuridica, sociale ed economica.

Ogni impresa privata è parte di una ricchezza comune, costituisce un pezzo di benessere sociale del paese. Dalla salute delle nostre imprese dipende la possibilità di creare lavoro e occupazione, di garantire dignità alle famiglie, di assicurare istruzione e futuro ai nostri figli.