81OHH01NI0LL’ultima volta che ci siamo incrociati per lavoro pareva come sempre.

È amico di lunga data, del profondo nord, uomo di parola e di esperienza internazionale, poche chiacchiere tanti fatti.

Nella pausa pranzo si è sfogato. Non si capacitava del sistema cooperativo locale che, con la complicità di fondi di investimento stranieri, si era impadronito di belle aziende manifatturiere della sua città, ma oggi con l’acqua alla gola.

Provo a rispondere con le parole iniziali di Antonio Amorosi sul sistema che «sa trasformare in ricchezza ogni debolezza sociale. Dove fare il bene è una dialettica commerciale che fa crollare qualsiasi muro e sa inglobare ogni cosa. Al punto che, come scrive Mediobanca, le coop guadagnano più dalla finanza che dalla vendita delle merci.»

Basito.

Aggiungo che proprio nella mia regione, terra madre del solidarismo (che è «l’ispirazione alla base dell’agire cooperativo»), tutte queste contraddizioni le viviamo sulla nostra pelle da tempo.

Non lo consola affatto e ancora non si spiega la crescita di un business in controtendenza, dal nord al sud.

«Un sistema, quello delle coop, che vorrebbe espandersi a tutti gli angoli del paese e che ha in nuovi settori di mercato le sue punte di diamante. Come l’erogazione di servizi ed energia offerti dalla multiutility Hera o il successo del settore alimentare di Eataly, la Disneyland del cibo di qualità, ma persino l’antimafia può diventare un business che assicura la vendita di prodotti confezionati con il marchio della legalità.»

Insomma, gli consiglio di leggere fino in fondo il libro di Antonio Amorosi: Coop connection. Nessuno tocchi il sistema. I tentacoli avvelenati di un’economia parallela.

Un ottimo libro d’inchiesta, da adottare come libro di testo a scuola.

Intanto, lo ho regalato a mio figlio. Spero lo legga presto.